La morte di Bruce Lee, avvenuta il 20 luglio 1973 all’età di soli 32 anni, senz’altro interruppe un’epopea, lasciando sgomente le diverse generazioni che, da Oriente a Occidente, da lui avevano tratto ispirazione. In ogni caso, però, anche se i suoi giorni terminarono così repentinamente e tragicamente, in realtà Lee non morì davvero, ma sopravvisse nell’immaginario collettivo, saldo nel suo ruolo di icona globale.
In queste pagine, agili ma intense, arricchite dalla prefazione di Felice Mariani, già commissario tecnico della nazionale italiana di judo, e dalla postfazione di Saverio Gabrielli, ricercatore e atleta, veterano e maestro di varie discipline di contatto, Il cinema del Drago non si sofferma a tracciare un semplice ritratto biografico dell’uomo, ma ne esplora a fondo, in un flusso di riflessioni, la filosofia sportiva, l’approccio esistenziale, e soprattutto la maniera in cui, davvero, Lee riuscì a cambiare la vita di milioni di contemporanei e posteri, sul tatami come dal grande schermo.
Bruce Lee fu un atleta, uno scrittore, un artista marziale e un attore celebrato. Soprattutto, fu un esempio umano, oltre che un ponte fra due mondi. Fu una voce identitaria, in un tempo in cui il concetto stesso di identità iniziava a farsi sempre più fragile e poroso, e i pensieri di Zuffi di tale voce sanno restituire tutta la complessità, rendendo onore a una personalità leggendaria che, come poche altre, riunificò in sé fisico e spirito, arte e vita, eleganza e volontà, immagine e azione.




